Cerca
Close this search box.

Lavoro Remoto: Che figata, lo voglio fare!(…?)

Ciao,
chi vi scrive è un neo-remote worker, e lo sono a tutti gli effetti a partire da inizio 2018. Prima di diventarlo ho avuto delle esperienze più o meno brevi di lavoro remoto che mi hanno fatto riflettere sulla possibilità di diventarlo a tempo pieno.

Chi sono?


Per lo scopo di questo articolo basta sapere che mi chiamo Giuseppe, ho 36 anni, sono un Ingegnere Informatico e lavoro nel mio campo, ricoprendo ruoli diversi, dal 2009. Ho sempre avuto lavori tradizionali fino al 2016, anno in cui ho cominciato a sperimentare diverse modalità’ di lavoro remoto.

Dove nasce l’idea di passare al remote working?
Ovviamente le attrattive le immaginate già: lavorare dai posti che mi piacciono di più senza essere vincolato all’ufficio, la flessibilità di badare a qualcuno o qualcosa durante le pause di lavoro, costruire un ambiente secondo le regole di comfort che il mio corpo mi suggerisce etc…
I primi brevi esperimenti a cui alludevo sopra mi hanno convinto che poteva funzionare. Sono riuscito a portare a termine dei task dai posti più’ disparati (sale di attesa di ospedali comprese).
Ovviamente ognuno ha la propria personale scala di priorità, e nella mia gli affetti occupano probabilmente il primo posto in classifica. Proprio l’ esperienza di un delicato intervento ad una persona a me cara mi ha aperto gli occhi su come questo potesse permettermi stare accanto ai miei affetti quando più ne hanno bisogno.
Molta gente e’ più attratta dalla possibilità di lavorare viaggiando, spostandosi da meraviglia a meraviglia, cosa praticamente impossibile se si prova a farlo sfruttando le ferie.

E se poi te ne penti?

Non è che padre Maronno abbia sempre ragione, ma ogni tanto bisogna ascoltarlo.

Sono fermamente convinto che il mondo sia pieno di cose che mi piacciono ma che non conosco ancora. Se voglio conoscerle devo uscire dalla mia zona di comfort, e mi trovo spesso ad addentrarmi in qualche area inesplorata della vita, ma mi piace anche sentire il suolo sotto i piedi e passata l’inebriante quanto affascinante sensazione di libertà che quei mini esperimenti di lavoro remoto mi avevano regalato cominciarono i dubbi: e se poi divento un tutt’uno con il letto, smetto di lavarmi e di uscire di casa, comincio a mischiare il lavoro con la vita privata, non riesco a organizzare il tempo e a rispettare le scadenze? Avrò modo di continuare la mia carriera o mi ritroverò a occuparmi di task marginali fino alla pensione?
Osare è bello, ma sono abituato a guardare bene da entrambi i lati della strada prima di attraversare, che a volte la vita arriva col suo bell’autoarticolato carico di “maiunagioia” e ti prende in pieno.

La ricerca del lavoro remoto

Bisogna osservare il mondo del lavoro per comprenderlo, come ci insegnano gli anziani.

Quindi, nel settembre del 2017 l’intervento di cui vi parlavo prima era andato fortunatamente bene, ma le sensazioni provate in quel periodo erano state sufficienti a convincermi a fare il salto. Il mio primo tentativo è stato parlare con il mio manager e sondare il terreno e capire se in azienda si potesse lavorare da remoto. D’altronde avevo già lavorato un mese dalla Sicilia per loro e sapevano che non avevo mai mancato uno standup (una riunione mattutina) o una scadenza per un task. Lei mi dice che ovviamente proverà a proporre la cosa al suo superiore e mi chiede quale sia l’alternativa. Ormai ero convinto, quindi le dico che se non fosse stato possibile avrei comunque cominciato a cercare un lavoro da remoto. La risposta e’ negativa, a causa di alcuni cavilli contrattuali che il mio specifico team aveva stipulato con il customer X, più’ comunemente noti come SFIGA!
Non mi restava altro da fare che cominciare a cercare un lavoro remoto e, devo dire che, a parte la maggiore selezione che ho dovuto fare durante la ricerca delle aziende a cui proporre il mio CV, non è stato più semplice nè più difficile che trovare un lavoro tradizionale. Magari scriverò un post sugli strumenti online che ho usato per trovare lavoro.
Per adesso vi dico che ho impiegato circa due due mesi a trovarlo e ho accettato l’offerta intorno a metà novembre.

Cosa ne pensavo dopo due mesi

Lo sapevo che facevo la m!@#$%ta!!!

Come dicevo all’inizio dell’articolo, ho cominciato con la nuova azienda il 2 gennaio del 2018. Appena dopo le feste, con molta gente ancora fuori e senza che la mia attrezzatura fosse ancora arrivata ( ritardi dovuti ancora alle feste appena passate). Inizio un po’ in sordina, le prime sensazioni sono state: scollamento totale dal team, fatica a familiarizzare con i colleghi, difficoltà a individuare le cose importanti su cui focalizzarsi, difficoltà nel costruire o trasferire la propria reputazione con i nuovi colleghi.
Inoltre per tutto il periodo iniziale di affiancamento sono stato invitato a lavorare in orari inconsueti per aumentare la sovrapposizione con il fuso orario EasternTime, che sarebbero l’orario Italiano meno sei ore.
Ero abbastanza certo di aver scoperto che Padre Maronno aveva ragione e che me ne stavo pentendo. Non avevo ancora cominciato a passare le mie giornate in pigiama ma quello sarebbe magari arrivato dopo.
Avevo fatto forse il passo falso?

Cosa ne penso dopo quattro mesi

Sono alla fine del periodo di prova. Ho imparato a conoscere meglio il mio manager e i miei colleghi e loro hanno cominciato a conoscere me. Ho avuto modo di farmi apprezzare, ho mostrato alcuni punti di forza e alcune debolezze e ho finalmente capito quali sono le cose sulle quali bisogna focalizzarsi in questa azienda.
Che cosa e’ cambiato? Assolutamente nulla, nel senso che ho risolto alcune piccole scocciature ovviamemte, ma la maggior parte del cambiamento è venuta nel modo in cui io percepivo il nuovo lavoro. Ero fuori dalla mia zona di comfort e ho dovuto imparare ad adattarmi.
Faccio ancora orari “Canadesi” o quasi, ma adesso mi sta anche bene, considerando che ho mezza giornata libera nelle ore più belle.
Comincio a raccogliere i primi frutti dei miei contributi e questo mi stimola a lavorare.
Insomma le cose si mettono bene.
Ma la cosa che fa pendere l’ago della bilancia dalla parte del “voglio farlo” è che sono felice, intendo davvero felice. Ogni giorno sono felice di poter passare del tempo con le persone che voglio avere intorno, ho ritrovato momenti di intimità con famiglia e amici che avevo perso (specialmente quando mi trovavo all’estero) e riesco a vedere all’orizzonte obiettivi che non riuscivo a vedere fino a poco tempo fa.

Morale della favola

Sono contento della scelta che ho fatto? Si Lo rifarei se tornassi indietro? Si Lo consiglierei a qualcuno? Si, assolutamente si!
Sono talmente soddisfatto che adesso l’ idea di tornare a lavorare in modo tradizionale significherebbe fare un passo indietro, diciamo che questo lo considero come un obiettivo raggiunto.
Ci sono altre cose da considerare ma di cui non ho parlato e che riguardano la cultura aziendale, il tipo di lavoro, e spero di poterne parlare a breve in altri post. Per adesso vi saluto sperando di avervi quantomeno fornito un punto di vista alternativo.

A presto!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *